Percorso suggerito dai Gruppi di Cammino di Bollate (Alice, Maria Grazia, Silvana, Gian Piero).
10 Km a nord di Milano una piacevole e comoda passeggiata tra boschi e brughiera alla scoperta di Villa Arconati, la “piccola Versailles lombarda”, del Borgo contadino di Castellazzo con la chiesa di San Guglielmo e della Polveriera di Castellazzo, ora sito della memoria.
Il percorso suggerito può iniziare da Villa Arconati di Castellazzo o dalla stazione ferroviaria TreNord di Garbagnate-Parco delle Groane.
Descrizione
La brughiera di Castellazzo
Camminando nei sentieri di Castellazzo si nota subito che il terreno è rossastro, argilloso, con ristagni di acqua. Queste caratteristiche sono tipiche della brughiera, termine che descrive un terreno argilloso, povero di humus e povero di sali, ricco di acidità e di idrossidi di ferro, poco fertile, adatto solo a vegetazione bassa a lenta crescita la bruga, (Calluna vulgaris) comunemente chiamata erica, che nella tarda estate conferisce alla brughiera un bel colore rosa granata.
La brughiera è considerata habitat di interesse dall’Unione Europea: quella di Castellazzo è la più meridionale delle brughiere europee. Dal 1976 Castellazzo di Bollate fa parte del Parco delle Groane. Nelle zone boscate crescono querce, betulle, aceri, carpini bianchi, biancospini; robinie, ailanto e ciliegio serotina come infestanti. I boschi di pino silvestre, presenti soprattutto verso Cesate, non sono autoctoni ma messi a dimora dai forestali di Maria Teresa d’Austria nel XVIII secolo nella speranza di rendere coltivabile il terreno argilloso. Nel Parco vivono animali come la volpe, lo scoiattolo, il coniglio selvatico, il picchio rosso maggiore, il ghiro, il gheppio, il gufo.
Il territorio è ricco di corsi d’acqua e permette piacevoli e lunghe passeggiate a contatto con una natura incontaminata. Quattro bei laghetti abbelliscono le numerose vie d’acqua presenti nel percorso: la maggior parte sono invasi di proprietà privata di associazioni di pescatori ma anche dalla recinzione il colpo d’occhio è particolarmente piacevole.
La brughiera è considerata habitat di interesse dall’Unione Europea: quella di Castellazzo è la più meridionale delle brughiere europee. Dal 1976 Castellazzo di Bollate fa parte del Parco delle Groane. Nelle zone boscate crescono querce, betulle, aceri, carpini bianchi, biancospini; robinie, ailanto e ciliegio serotina come infestanti. I boschi di pino silvestre, presenti soprattutto verso Cesate, non sono autoctoni ma messi a dimora dai forestali di Maria Teresa d’Austria nel XVIII secolo nella speranza di rendere coltivabile il terreno argilloso. Nel Parco vivono animali come la volpe, lo scoiattolo, il coniglio selvatico, il picchio rosso maggiore, il ghiro, il gheppio, il gufo.
Il territorio è ricco di corsi d’acqua e permette piacevoli e lunghe passeggiate a contatto con una natura incontaminata. Quattro bei laghetti abbelliscono le numerose vie d’acqua presenti nel percorso: la maggior parte sono invasi di proprietà privata di associazioni di pescatori ma anche dalla recinzione il colpo d’occhio è particolarmente piacevole.
Punti di interesse
La prestigiosa Villa Arconati
Villa Arconati, collocata al confine nord del territorio di Bollate, nella frazione di Castellazzo, rappresenta un superbo esempio di barocchetto lombardo.
Nei primi anni del ‘600 la villa, il borgo e la piccola chiesa divennero proprietà degli Arconati, che trasformarono la villa in una splendida “piccola Versailles” e dettero grande impulso al borgo contadino, strutturalmente integrato con la villa.
Un’elegante cancellata, due ampie rampe d’accesso e un prato con aiuole fiorite valorizzano la maestosa facciata impreziosita da ricca statuaria. I bollatesi raccontavano che la villa fosse così grande da avere 365 finestre.
Ancora oggi nella villa si possono ammirare splendide sale affrescate con scene mitologiche (il carro del Sole, la caduta di Fetonte e l’Allegoria del Tempo) incorniciate da grandiose architetture trompe-l’oeil, opere dei famosi fratelli Galliari, pittori e futuri scenografi del teatro alla Scala di Milano.
Gessi, calchi, bassorilievi e statue marmoree tra cui quella monumentale di Tiberio, detta un tempo di Pompeo Magno, a cui piedi una leggenda narra venne pugnalato Giulio Cesare nel 44 a.C. possono essere apprezzati dai moderni visitatori.
Nel seicento, periodo di massimo splendore della Villa, Galeazzo Arconati, uomo di grande e raffinata cultura, cugino del cardinale Federico Borromeo, raccolse stampe antiche, disegni e i dodici volumi leonardeschi tra cui il Codice Atlantico di Leonardo da Vinci. Sia Galeazzo che i suoi discendenti arricchirono i giardini di labirinti vegetali, deliziose cascatelle, sontuose fontane, giochi d’acqua, incantevoli fughe verdi prospettiche e adornarono il grande parco con gigantesche statue (di Ercole, Diana, Fauno, ecc.) utilizzate come scenario per rappresentazioni teatrali all’aperto. Il moderno visitatore può apprezzare ancora molte di queste meraviglie passeggiando nei viali dell’ampio parco.
Nel 1772 con l’estinzione del ramo Arconati la proprietà passò prima ai Busca, poi ai Sormani e infine alla marchesa Beatrice Crivelli. Nel 1989, molti beni di pregio custoditi all’interno della Villa (arredi, quadri, libri antichi) vennero svenduti all’asta dall’ultimo erede.
La fama e lo splendore della Villa, faro di attrazione culturale ed economico nei secoli, attirò ospiti illustri quali Leonardo da Vinci, Filippo IV di Spagna, Parini, Goldoni, Foscolo, Canova e Toscanini.
La Villa è ora sede della Fondazione Augusto Rancilio che si è impegnata in un importante progetto di recupero e riconversione culturale della struttura dopo un lungo periodo di declino. L’apertura al pubblico di sale restaurate e l’organizzazione di eventi ormai famosi (Festival di Villa Arconati, Eventi in Villa, Spettacoli in costume d’epoca, visite guidate) stanno facendo rivivere alla Villa delle Delizie e al borgo di Castellazzo una nuova primavera.
Nei primi anni del ‘600 la villa, il borgo e la piccola chiesa divennero proprietà degli Arconati, che trasformarono la villa in una splendida “piccola Versailles” e dettero grande impulso al borgo contadino, strutturalmente integrato con la villa.
Un’elegante cancellata, due ampie rampe d’accesso e un prato con aiuole fiorite valorizzano la maestosa facciata impreziosita da ricca statuaria. I bollatesi raccontavano che la villa fosse così grande da avere 365 finestre.
Ancora oggi nella villa si possono ammirare splendide sale affrescate con scene mitologiche (il carro del Sole, la caduta di Fetonte e l’Allegoria del Tempo) incorniciate da grandiose architetture trompe-l’oeil, opere dei famosi fratelli Galliari, pittori e futuri scenografi del teatro alla Scala di Milano.
Gessi, calchi, bassorilievi e statue marmoree tra cui quella monumentale di Tiberio, detta un tempo di Pompeo Magno, a cui piedi una leggenda narra venne pugnalato Giulio Cesare nel 44 a.C. possono essere apprezzati dai moderni visitatori.
Nel seicento, periodo di massimo splendore della Villa, Galeazzo Arconati, uomo di grande e raffinata cultura, cugino del cardinale Federico Borromeo, raccolse stampe antiche, disegni e i dodici volumi leonardeschi tra cui il Codice Atlantico di Leonardo da Vinci. Sia Galeazzo che i suoi discendenti arricchirono i giardini di labirinti vegetali, deliziose cascatelle, sontuose fontane, giochi d’acqua, incantevoli fughe verdi prospettiche e adornarono il grande parco con gigantesche statue (di Ercole, Diana, Fauno, ecc.) utilizzate come scenario per rappresentazioni teatrali all’aperto. Il moderno visitatore può apprezzare ancora molte di queste meraviglie passeggiando nei viali dell’ampio parco.
Nel 1772 con l’estinzione del ramo Arconati la proprietà passò prima ai Busca, poi ai Sormani e infine alla marchesa Beatrice Crivelli. Nel 1989, molti beni di pregio custoditi all’interno della Villa (arredi, quadri, libri antichi) vennero svenduti all’asta dall’ultimo erede.
La fama e lo splendore della Villa, faro di attrazione culturale ed economico nei secoli, attirò ospiti illustri quali Leonardo da Vinci, Filippo IV di Spagna, Parini, Goldoni, Foscolo, Canova e Toscanini.
La Villa è ora sede della Fondazione Augusto Rancilio che si è impegnata in un importante progetto di recupero e riconversione culturale della struttura dopo un lungo periodo di declino. L’apertura al pubblico di sale restaurate e l’organizzazione di eventi ormai famosi (Festival di Villa Arconati, Eventi in Villa, Spettacoli in costume d’epoca, visite guidate) stanno facendo rivivere alla Villa delle Delizie e al borgo di Castellazzo una nuova primavera.
La Parrocchia di San Guglielmo
Alla sinistra della Villa si trova la piccola Chiesa di San Guglielmo, inglobata nel progetto architettonico della villa. Determinante nella costruzione di una chiesa sull’area di un vecchia cappelletta fu l’arcivescovo San Carlo Borromeo che nella visita pastorale del 1573 né ordinò l’ampliamento e l’ammodernamento.
La Famiglia Cusani, proprietaria della villa e del borgo, si impegnò a ricostruire la chiesa con struttura “a navata unica, lunga 20 braccia e larga 19; tre gradini portano alla cappella maggiore dove è posto l’altare; alla sinistra si trova la cappella del Battistero e sulla destra il campanile”.
Al suo interno, nell’altare laterale destro, si trova la tela raffigurante Sant’Antonio in contemplazione e a sinistra la Madonna del Rosario, opere del pittore Giuseppe Bertini, primo direttore del museo Poldi Pezzoli e dell’Accademia di Brera.
La balconata sopra al portale d’ingresso della Chiesa era riservata alla nobiltà che vi poteva accedere direttamente dalla Villa attraverso un corridoio, ancora oggi visibile sopra la galleria delle carrozze, che collegava la villa con la chiesetta.
Un pregevole organo settecentesco, in attesa di restauro, e un semplice campanile con campane squillanti arricchiscono questa piccola chiesa di campagna.
La Famiglia Cusani, proprietaria della villa e del borgo, si impegnò a ricostruire la chiesa con struttura “a navata unica, lunga 20 braccia e larga 19; tre gradini portano alla cappella maggiore dove è posto l’altare; alla sinistra si trova la cappella del Battistero e sulla destra il campanile”.
Al suo interno, nell’altare laterale destro, si trova la tela raffigurante Sant’Antonio in contemplazione e a sinistra la Madonna del Rosario, opere del pittore Giuseppe Bertini, primo direttore del museo Poldi Pezzoli e dell’Accademia di Brera.
La balconata sopra al portale d’ingresso della Chiesa era riservata alla nobiltà che vi poteva accedere direttamente dalla Villa attraverso un corridoio, ancora oggi visibile sopra la galleria delle carrozze, che collegava la villa con la chiesetta.
Un pregevole organo settecentesco, in attesa di restauro, e un semplice campanile con campane squillanti arricchiscono questa piccola chiesa di campagna.
Il borgo di Castellazzo
Alla sinistra della Chiesa di estende il Borgo di Castellazzo costituito da un agglomerato di corti (Corte Grande, Corte del Fabbro, Corte Nuova, Corte dei Rustici) disposte secondo la tipologia della “Corte Lombarda”: un grande spazio rettangolare porticato adibito a stalle, fienili e depositi di attrezzi agricoli e corti più piccole destinate alle abitazioni dei contadini.
Il Borgo nacque in tempi antichi (addirittura romani) come presidio militare con torri di avvistamento per controllare la strada che dal nord Europa conduceva Milano.
Le terre a nord e a ovest del borgo di Castellazzo sono argillose e poco fertili. Già nel quattrocento in questa zona venivano prodotti mattoni “pieni” utilizzati per le costruzioni di edifici e monumenti per la città di Milano. Questi terreni nel settecento vennero sfruttati per insediare le fornaci, vere e proprie industrie di estrazione, lavorazione, preparazione e cottura di mattoni. La tecnologia nell’ottocento e novecento vide il borgo di Castellazzo diventare sede di una fiorente industria del mattone. Il borgo raggiunse all’inizio del secolo il massimo numero di abitanti, oltre 500 persone tra lavoratori delle fornaci, agricoltori, artigiani. Due fornaci con grandiosi forni Hoffmann (grandi forni collegati l’uno all’altro con un’unica alta ciminiera) furono gravemente danneggiate nel 1917 dall’esplosione della polveriera di Castellazzo e smantellati definitivamente dopo la seconda guerra mondiale.
Cessata la produzione dei mattoni il borgo si spopolò. Resta ancora un complesso di case, cascine e rustici piuttosto decrepiti abitati da pochi residenti, per lo più anziani. Le corti sono quasi deserte.
Attualmente il borgo è mantenuto ancora vivo dalla presenza di artisti e artigiani affezionati al borgo, volontari delle associazioni ‘Amici di Castellazzo’ e ‘Vivere Castellazzo’. Due rinomati centri ippici (‘Centro Ippico di Castellazzo’ creato dal Graziano Mancinelli e ‘Centro Groane’) danno lustro al piccolo borgo di Castellazzo. Tutte le sere in Corte Grande è aperta al pubblica una tipica birreria.
Il Borgo nacque in tempi antichi (addirittura romani) come presidio militare con torri di avvistamento per controllare la strada che dal nord Europa conduceva Milano.
Le terre a nord e a ovest del borgo di Castellazzo sono argillose e poco fertili. Già nel quattrocento in questa zona venivano prodotti mattoni “pieni” utilizzati per le costruzioni di edifici e monumenti per la città di Milano. Questi terreni nel settecento vennero sfruttati per insediare le fornaci, vere e proprie industrie di estrazione, lavorazione, preparazione e cottura di mattoni. La tecnologia nell’ottocento e novecento vide il borgo di Castellazzo diventare sede di una fiorente industria del mattone. Il borgo raggiunse all’inizio del secolo il massimo numero di abitanti, oltre 500 persone tra lavoratori delle fornaci, agricoltori, artigiani. Due fornaci con grandiosi forni Hoffmann (grandi forni collegati l’uno all’altro con un’unica alta ciminiera) furono gravemente danneggiate nel 1917 dall’esplosione della polveriera di Castellazzo e smantellati definitivamente dopo la seconda guerra mondiale.
Cessata la produzione dei mattoni il borgo si spopolò. Resta ancora un complesso di case, cascine e rustici piuttosto decrepiti abitati da pochi residenti, per lo più anziani. Le corti sono quasi deserte.
Attualmente il borgo è mantenuto ancora vivo dalla presenza di artisti e artigiani affezionati al borgo, volontari delle associazioni ‘Amici di Castellazzo’ e ‘Vivere Castellazzo’. Due rinomati centri ippici (‘Centro Ippico di Castellazzo’ creato dal Graziano Mancinelli e ‘Centro Groane’) danno lustro al piccolo borgo di Castellazzo. Tutte le sere in Corte Grande è aperta al pubblica una tipica birreria.
Il Santuario della Fametta
A 900 metri dalla Chiesa di San Guglielmo, in un luogo solitario alla fine di un lungo viale alberato, (via Fametta) proprio di fronte al cimitero del Borgo di Castellazzo, sorge il santuario della “Fametta”. Piccolo oratorio con portico, a ridosso di una possente torre quadrata utilizzata nel ‘600 come avamposto militare, dedicato alla SS Maria Vergine costruito ai primi anni dell’800 dal marchese Brusca, forse a ricordo della figlia morta in tenera età.
Al suo interno è custodito il dipinto della Madonna della Fametta realizzato da un pittore ignoto: tavola lignea dipinta a olio con la Vergine Misericordiosa che protegge i devoti sotto il suo mantello.
Al suo interno è custodito il dipinto della Madonna della Fametta realizzato da un pittore ignoto: tavola lignea dipinta a olio con la Vergine Misericordiosa che protegge i devoti sotto il suo mantello.
Sito della memoria.
Prendendo la strada sterrata che conduce al maneggio Centro Groane, si giunge alla cabina elettrica sopravvissuta al disastro del 7 giugno 1918 quando un’esplosione nel reparto spedizioni della fabbrica di ordigni bellici Sutter & Thévenot provocò la morte di 56 giovani operaie, 6 operai e il ferimento di più di 300 lavoratori.
L’immensa fabbrica di armi dava lavoro a più di 1500 operai. Lo scoppio di circa 2300 Kg di esplosivo produsse una deflagrazione violentissima che straziò molti dei corpi delle vittime. Anche Hemingway, giovane militare della Croce Rossa Americana destinato al fronte italiano, descrive in uno de “I 49 racconti” lo scempio dei corpi e la meraviglia di trovarsi di fronte a corpi dilaniati di giovani donne e la difficoltà di ricomporre i miseri resti.
Per non dimenticare questa tragedia, in occasione del centenario dell’evento, l’artista Ale Senso ha realizzato un toccante murale su due lati della cabina elettrica: su un lato è raffigurata una giovane donna inginocchiata in un prato mentre osserva dei fogli bianchi. Bianchi perché mai scritti, come il racconto della vita delle giovani vittime dell’esplosione. Sull’altro lato la sagoma della grande fabbrica di munizioni e il paesaggio della brughiera.
L’immensa fabbrica di armi dava lavoro a più di 1500 operai. Lo scoppio di circa 2300 Kg di esplosivo produsse una deflagrazione violentissima che straziò molti dei corpi delle vittime. Anche Hemingway, giovane militare della Croce Rossa Americana destinato al fronte italiano, descrive in uno de “I 49 racconti” lo scempio dei corpi e la meraviglia di trovarsi di fronte a corpi dilaniati di giovani donne e la difficoltà di ricomporre i miseri resti.
Per non dimenticare questa tragedia, in occasione del centenario dell’evento, l’artista Ale Senso ha realizzato un toccante murale su due lati della cabina elettrica: su un lato è raffigurata una giovane donna inginocchiata in un prato mentre osserva dei fogli bianchi. Bianchi perché mai scritti, come il racconto della vita delle giovani vittime dell’esplosione. Sull’altro lato la sagoma della grande fabbrica di munizioni e il paesaggio della brughiera.
Per scaricare in pdf tutti i 34 percorsi proposti dalla Regione Lombardia e comune di Milano clicca qui: “IL PASSAPORTO DI MILANO CITTÁ PER CAMMINARE E DELLA SALUTE”